“LO SPAZIO E IL TEMPO” – MOSTRA DEL GRANDE ARTISTA ARTURO VERMI

La Famiglia Artistica Lissonese, Venerdì 17 Febbraio, alle ore 18.00, organizza per i Soci,  una visita guidata alla Mostra del grande artista Arturo Vermi, presso la Galleria Civica di Monza in Via Camperio. Gli interessati sono pregati di rivolgersi in Segreteria, negli orari di apertura.

Monza rende omaggio alla ricerca di un grande protagonista della scena artistica italiana del secondo Novecento: Arturo Vermi. La mostra, curata da Simona Bartolena e realizzata dal Comune di Monza e dall’Associazione Arturo Vermi, riunisce una selezione di lavori che raccontano l’opera del Vermi dalle prime prove di matrice informale, ai celebri Diari e Presenze, fino alla svolta figurativa, in cerca della felicità.

La mostra “Lo spazio e il tempo. La ricerca di Arturo Vermi da Cenobio alla felicità” sarà in esposizione in Galleria Civica a Monza dal 20 gennaio al 26 febbraio 2017.

Milano 1962. In una stagione fertile e dinamica, che ha nel capoluogo lombardo uno dei centri nevralgici della cultura europea, un gruppo di artisti inaugura una significativa riflessione sulla pittura come valore espressivo-scritturale. Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga e Arturo Vermi sono i membri di questo sodalizio, dalla storia breve ma intensa: il Gruppo del Cenobio. Nella ferma volontà di restar lontani dalle logiche del mercato, intrecciano le loro diverse storie di artisti per cercare risposte in un’arte segnica, profondamente evocativa, quasi una scrittura privata, in linea, sebbene su binari diversi, con le tendenze d’avanguardia che avevano generato, nei vicoli di Brera, fenomeni come Azimuth o l’arte programmata del Gruppo T.
È la Milano del bar Giamaica, di Lucio Fontana, di Piero Manzoni e delle grandi gallerie, dal Naviglio al Milione, dalla Gianferrari alla Bergamini, dall’Annunciata a Schettini. Una città in cui Vermi, originario di Bergamo, giunge nel 1956, entrando subito in contatto con gli ambienti di Brera. Pittore autodidatta, sceglie inizialmente, come molti altri della sua generazione, il linguaggio all’epoca più diffuso: l’informale. Per completare la formazione umana e artistica, però, è necessario un viaggio a Parigi, nel 1959, dove vivrà un paio d’anni, frequentando artisti come André Bloc e Ossip Zadkine e dove conoscerà Beniamino Joppolo, già fondatore, con Lucio Fontana, del Movimento spazialista. Al rientro a Milano, quando si fa animatore del Gruppo del Cenobio, Vermi è già un artista dalla personalità forte e originale. Sono di questi anni le opere di matrice informale caratterizzate da larghe campiture geometriche di colore, risolte in una tavolozza dagli accenti del bruno e del verde scuro, del rosso cupo e del nero – opere nelle quali si osserva un passaggio lento ma costante verso la semplificazione e la geometrizzazione delle forme –, ma sono dello stesso periodo anche le prime Lapidi e, di conseguenza, i primissimi Diari. Negli anni successivi, con la frequentazione di Lucio Fontana e degli artisti del Quartiere delle Botteghe di Sesto San Giovanni, dove anche Vermi risiede a partire dal 1964, la svolta è definitiva. Abbandonati i retaggi dell’informale, Vermi trova il suo segno: un segno inconfondibile, di straordinaria efficacia, in cui risiede l’essenza stessa della sua ricerca. Innanzi tutto c’è la sua meravigliosa capacità di sintesi: una sintesi perfetta, assoluta, che sa includere in un unico tratto tutta la conoscenza.
Nei segni essenziali, ridotti a un unico sicuro gesto, di Vermi si nasconde la memoria collettiva, essi sono luoghi nei quali la dimensione universale incontra quella privata, la vita reale – quella sostanza fisica che Vermi non perderà mai di vista – si apre alla luce eterna dell’oro. Sono i segni reiterati e ossessivi dei Diari, ma anche quelli singoli, esatti, delle Presenze e delle Marine e quelli nervosi, più dinamici e rapidi, dei Paesaggi: tutti vivono nello spazio materialmente circoscritto ma concettualmente infinito della tela abitando l’unico posto che gli è destinato. È sorprendente la perfezione con cui l’artista sceglie la posizione in cui collocare la presenza segnica; in perfetto equilibrio, la composizione trova sempre la propria logica e la giusta armonia.
E poi c’è il tempo. Il tempo scandito dal gesto: un tempo non sempre regolare ma comunque inesorabile. C’è il ritmo del tempo, quello lento della meditazione e quello rapido e sincopato della vita quotidiana… Pare di udirne il rumore, un ticchettio perso tra il silenzio del cosmo e il rumore dei bicchieri di un’osteria di Brera.
Come icone contemporanee, le opere di Vermi suggeriscono letture spirituali e trascendenti, pur restando ben ancorate a terra. Il legame profondo con la Natura, con un universo sempre e comunque umano, rende i lavori dell’artista, anche i più essenziali e concettuali, emotivamente coinvolgenti. Quello di Vermi è un uomo che deve imparare a mettere le ali, ma è comunque un uomo: “l’uomo prigioniero della forza di gravità della ignoranza, con la scienza e la cultura mette le ali per proiettarsi nel futuro cosmico”, spiega l’artista stesso, “verso un tempo di anni luce, verso la felicità. La felicità quindi è il problema (…). Ho cominciato a lavorare per la felicità dando per scontato che l’uomo potrà superare gli ostacoli contingenti e che l’obiettivo sarà raggiunto. (…) Smettiamo di sentirci colpevoli di essere felici, siamo colpevoli di non esserlo!”.
Ogni segno tracciato da Vermi è generato da questa straordinaria capacità di restare leggeri, di voler e saper essere felici. Una felicità che non è mai egoismo, ma che, al contrario, generosamente si spende per gli altri e li contagia, insegnando loro a volare sopra alle contingenze. Forse l’opera del Vermi è proprio questo: un volo poetico.

(estratto dal testo “Un volo poetico” di Simona Bartolena)